Flavio Tosi non dev’essere tanto in bolla, come si dice da queste parti. Preso com’è dalla voglia di fargliela vedere agli ex compagni di partito Salvini e Zaia, ieri ha clamorosamente toppato. In un’intervista al Corriere della Sera (“«Bindi cerca la mafia a Verona? Vuole far vincere il Carroccio per fare un dispetto al premier», 2 aprile) il sindaco di Verona si lascia scappare una spiegazione che spiega tutto, ovvero qual è la logica della sua candidatura a presidente della Regione Veneto.
Sentiamo che dice a proposito delle affermazioni di Rosi Bindi, presidente della Commissione Antimafia, che ha invitato ad approfondire possibili infiltrazioni mafiose nel Veronese, a cominciare dal Comune capoluogo:
«mi hanno spiegato che Bindi è ferocemente anti-renziana. Forse le sue dichiarazioni servono per abbassare il consenso a me e aiutare Luca Zaia a vincere. Non tanto contro di me, quanto contro la renziana Alessandra Moretti».
Che la Bindi detesti Renzi e sia un’oppositrice interna al Pd della maggioranza renziana, non ci piove. E che la Bindi sia troppo navigata per non tener conto, quanto meno, del risvolto politico, anti-Renzi e dunque anti-Moretti, della sua calata a Verona, anche su questo non può esservi dubbio. Nel merito in senso stretto, dunque, Tosi torto non ne ha.
Ma proprio perché ha ragione, si è tradito. Ha svelato che il consenso elettorale che otterrà servirà a indebolire Zaia per agevolare, oggettivamente, la sfidante principale, che é la Moretti. Il suo arcinemico Matteo Salvini l’aveva accusato di combine con il Pd, a danno di Zaia. Non ci sono prove di ciò. Ma è certo che Tosi lo schema in mente ce l’ha (e ce l’hanno ben impresso anche i compagni del Pd, vedi Ruzzante ad esempio), e questa improvvida dichiarazione ne dà patente conferma. E lasciamo pur stare, anzi non lasciamo stare affatto di sottolineare quanto debole, scontato e poco persuasivo sia bollare come «cialtrona» la presidente della commissione parlamentare contro la mafia, nel momento in cui porta all’attenzione pubblica fatti, carte e notizie reali. Vero è che nè Tosi nè nessun altro dell’amministrazione scaligera è sotto inchiesta giudiziaria per mafia, ma è altrettanto vero che un amministratore pubblico non può comportarsi come se le indagini in corso su criminali e loro amici non riguardassero il territorio da lui amministrato (ne parliamo qui). Per giunta andando ogni volta fuori dai gangheri. Motivi solidi per puntare i fari sulla realtà veronese, l’Antimafia ne ha eccome. Liquidare il lavoro di un’intero organo istituzionale come la cialtroneria di una politica di parte è un autogol che Tosi poteva, e doveva, risparmiarsi.